MERCOLEDÌ 11 MAGGIO 2022, ORE 16 Palazzo Serra di Cassano Napoli – Via Monte di Dio, 14
Presentazione della nuova edizione del volume di Ernesto de Martino, Il mondo magico, a cura di Marcello Massenzio, Einaudi 2022
Coordina Massimiliano Biscuso (IISF)
Intervengono Anna Donise (Università di Napoli Federico II) Antonio Fanelli (Sapienza Università di Roma) Francesco Giasi (Fondazione Istituto Gramsci) Marcello Massenzio (AIEdM) Renata Viti Cavaliere (Università di Napoli Federico II)
Édition préfacée, établie et traduite de l’italien par Giordana Charuty
L’œuvre d’Ernesto De Martino, un des intellectuels italiens les plus importants du xx e siècle, est redécouverte aujourd’hui. Cette nouvelle édition du Monde magique permettra de mieux saisir la place qui revient à l’auteur dans la culture européenne.
Initiation chamanique, rites propitiatoires, maléfices, savoirs divinatoires traditionnels et modernes : De Martino rassemble d’innombrables pratiques confondues sous le terme de magie à partir d’une documentation ethnologique de premier plan. L’essai met à l’épreuve différents modèles, explicatifs ou herméneutiques, pour faire de ces usages autant d’institutions culturelles efficaces, en levant l’ambivalence de la pensée occidentale à leur égard. Contre toutes les formes de scientisme, De Martino en appelle à une conception élargie de la raison historique pour reconnaître dans ces ressources symboliques l’apprentissage de cette présence à soi et au monde qui nous paraît le propre de la condition humaine.
Lors de sa première parution en 1948, ce livre lança en Italie les débats pour une renaissance culturelle, au lendemain de la Seconde Guerre mondiale. Discuté par des intellectuels aussi opposés que Benedetto Croce et Mircea Eliade, puis « livre de l’année zéro » pour le grand historien contemporain Carlo Ginzburg, Le Monde magique pose des questions, toujours débattues, au carrefour de toutes les sciences humaines.
Ernesto De Martino étudie le rapport entre la mort humaine, en tant qu’événement naturel, et le rite de la plainte funèbre lui conférant un sens culturel. Une traduction inédite sur la crise du deuil dans le monde antique, qui s’achève par un audacieux Atlas illustré des pleurs ! L’existence humaine obéit à un équilibre fragile, toujours menacé par une crise sans horizon : la mort d’une personne aimée. La perte irréversible ouvre la voie à l’éloignement du monde, au délire du déni, à une fureur destructrice. D’où vient le besoin de refuser la mort dans sa scandaleuse gratuité, d’offrir le repos au défunt grâce à l’élaboration rituelle du deuil ? C’est tout l’enjeu de ce grand classique de l’anthropologie, enfin traduit en français. Ernesto De Martino montre que la lamentation funèbre, adressée aux vivants non moins qu’aux morts, surgit pour transformer la crise du deuil en une discipline culturelle capable de préserver le pathos de l’irruption de la folie. Il retrace l’histoire de cette lamentation de l’antiquité à l’époque chrétienne en partant de ses enquêtes ethnographiques dans le sud de l’Italie. Observant les pleureuses et recueillant les chants funèbres, il revient aux anciennes civilisations agraires de Méditerranée au sein desquelles la complainte funéraire a connu ses manifestations les plus grandioses, avant son déclin progressif, provoqué par le christianisme triomphant. De Martino retrouve chez les paysannes de Lucanie des gestes analogues à ceux des Égyptiennes pleurant leur pharaon défunt ou à ceux des Grecques anciennes réunies autour des héros morts au combat, mettant en lumière la survivance de l’institution des lamentations dans la longue durée. Comme en témoigne, en écho à Aby Warburg, l’Atlas des pleurs rituels qui complète le livre, c’est avec toute la tradition d’histoire, d’archéologie et d’histoire de l’art du XXe siècle que dialogue cette œuvre anthropologique puissante et originale.
Textes traduits par Alfonsina Bellio & Jérôme Nicolas. Traduction supervisée par Jérôme Nicolas.
Profondamente
radicato nel contesto storico in cui venne concepito, Il mondo magico
va letto oggi alla luce dell’immane tragedia del secondo conflitto
mondiale. De Martino si interroga sulle cause profonde della grande
crisi dell’Occidente, di cui individua con sensibilità antropologica i
germi nell’abbandono della tradizione storico-culturale di appartenenza:
da qui l’urgenza di promuoverne una rinnovata consapevolezza critica. E
proprio in relazione al conseguimento di tale obiettivo, che non
potrebbe non riguardare anche il nostro presente, il confronto con il
«culturalmente alieno» manifesta tutta la sua pregnanza.
2022
Piccola Biblioteca Einaudi Ns
pp. LXVI – 318
€ 24,00
ISBN 9788806250164
A cura di
Il mondo magico
di Ernesto De Martino occupa un posto di rilievo tra i classici del
pensiero europeo contemporaneo: pubblicato nel 1948, ha conosciuto un
numero cospicuo di edizioni, che testimonia di un perdurante interesse
per l’inedita valutazione della magia come istituzione culturale garante
della presenza umana nel mondo. Ogni generazione di lettori si è cosí
accostata al capolavoro demartiniano in modi conformi allo spirito del
tempo, privilegiando determinati nuclei problematici e lasciandone altri
nell’ombra. Oggi siamo piú inclini a riconoscere tutto il valore
innovativo del metodo di ricerca di Ernesto De Martino, basato
sull’intreccio tra prospettiva storica ed etnologica. L’asse portante
del libro risiede nel confronto critico, funzionale alla presa di
coscienza dei rispettivi caratteri individuanti, tra l’Occidente e
l’Altro da sé, tra il nostro e l’altrui modo di «essere uomini in
società».
I personaggi che qui si incontrano – medici e sacerdoti,
malati e miracolati, magnetizzatori e sonnambule, spiritisti e medium,
isteriche e fantasmi… – e le loro relazioni, disegnano un Ottocento che
prima di Clara Gallini non era stato indagato da una prospettiva
antropologica.
Una prospettiva che analizzando la dimensione culturale del
magnetismo e dello spiritismo, come delle guarigioni miracolose, mette
in luce, tra l’altro, il dinamismo culturale presente nella società di
classe e pone interrogativi ancora attuali sulla crisi del modello
cartesiano di ragione.» È un breve frammento, tratto dalla prefazione di
Adelina Talamonti del saggio Chiaroscuri. Storie di fantasmi, miracoli e gran dottori
(Kurumuny Edizioni, 2021), che celebra i novant’anni dalla nascita
dell’antropologa Clara Gallini (Crema, 19 giugno 1931 – Roma, 21 gennaio
2017).
Saggi scelti
Il volume è una raccolta postuma di saggi scelti e organizzati
completamente da lei, figura cardine nel panorama degli studi
antropologici in Italia e non solo, considerata tra le principali
interpreti e custodi del pensiero di Ernesto de Martino (1908/1965). Chiaroscuri,
che si fregia dell’introduzione di Clara Gallini ed è arricchito
nell’Appendice dai testi di Ernesto de Martino e dello psicanalista
Emilio Servadio (1904/1995), ci porta in tutta Europa attraverso le
storie di sonnambule e magnetisti, spiritisti e fantasmi, miracolati e
medici.
In tal voyage, compiuto con rigore e metodo scientifico, la
Gallini naviga da nord a sud facendo tappa in luoghi-simbolo di misteri
studiati dall’occultismo come, ad esempio, le case infestate della
Torino di inizio Novecento e quelle di fine Ottocento a Napoli, dove la
famosa medium Eusapia Paladino (1854/1918) attira sia pellegrini che
scienziati, quale il noto antropologo Cesare Lombroso (1835/1909).
Svariati capitoli, poi, sono dedicati a Lourdes, luogo di miracoli e
medicalizzazione del sacro. Ella rileva che «nel loro complesso i nostri
episodi smentiscono quella immagine, rigida ed esclusiva, di un
Mezzogiorno che per tradizione concentrerebbe nei suoi territori ogni
«magia»: al contrario, la troveremo anche altrove, nelle moderne città
d’Europa, dove anche sarebbe stata presa in seria considerazione
«scientifica», oltre che «religiosa», da vari medici e prelati. Le
storie che raccolgo qui sono ristampate da vecchi articoli, di venti,
trent’anni fa, ma non mi vergogno di dire che la loro problematica è
sempre più attuale, in tempi come questi, che danno sempre più spazio
all’avanzata dell’«irrazionale», non solo nei diversi culti religiosi.
L’occulto
Di recente scrittura, e inedito, è invece l’ultimo capitolo, che cerca
di interrogarsi su cosa sia ciò che definiamo «altro» dalla ragione e
che ormai tutti chiamiamo col nome «occulto». Più in generale, potremmo
ritrovarvi l’attualità di quelle domande su che cosa mai sia quel lato
oscuro degli uomini e delle cose, che ancor oggi continua a intrigarci».
Tra gli studiosi che rifiutano ogni semplice classificazione e
incasellamento e modellano i confini con la singolarità della loro
intelligenza, c’è indubbiamente anche la Gallini. Come antropologa si è
addentrata nei più compositi ambiti: dal folklore sardo all’Ottocento
italiano, dal razzismo alla rete, fino al ritorno del simbolismo della
croce. Nell’intensa vita di donna e raffinata studiosa, che ha viaggiato
molto attraversando mondi e tempi differenti per trarre testimonianze
ed esaminare atteggiamenti di popoli e civiltà, ha difatti costantemente
propeso per lo studio dei labirinti. Laureatasi nel 1954 alla Statale
di Milano in Lettere, frequenta poi a Roma la Scuola di perfezionamento
in Storia delle Religioni.
Qui studia con figure del calibro di Angelo Brelich (1913/1977) e
Raffaele Pettazzoni (1883/1959). Tuttavia, l’incontro intellettuale, che
le cambierà la vita, è quello con Ernesto de Martino alla fine degli
anni 50, conosciuto durante il perfezionamento a Roma. Diviene
assistente volontaria seguendolo in Sardegna e, poi, alla sua morte,
titolare della cattedra di Storia delle Religioni a Cagliari fino al
1978. Anno che bolla il suo orientamento scientifico,
storicistico-marxista, di cui è corresponsabile l’insularità arcaizzante
di quella «Sardegna come un’infanzia», per dirla con Elio Vittorini
(1908/1966), dove Cagliari raffigura in quegli anni l’incrocio o la
capitale dell’antropologia, con i nomi di Alberto Mario Cirese
(1921/2011), Giulio Angioni (1939/2017) e Pietro Clemente. Gallini
svolge un’acuta indagine sul campo, fornendo ragguardevoli monografie
sul folklore sardo.
Dalle pagine demartiniane del Mondo magico assentirà «che lì dentro
c’era qualcosa di forte, dirompente, un pensiero vivo e attivo, che
coniugava la nostra vita con quella degli altri». Tra le opere si
citano: I rituali dell’argia (1967), Feste lunghe di Sardegna (1971), Dono e malocchio (1973), La sonnambula meravigliosa (1983), Il miracolo e la sua prova. Un etnologo a Lourdes (1988), Giochi pericolosi (2002), Cyberspiders (2004), Il ritorno delle croci (2009) fino a Incidenti di percorso. Antropologia di una malattia (2016), una meditazione autobiografica terminale su sé stessa.
Nel 1978 lascia la Sardegna per insegnare Antropologia Culturale,
prima all’Istituto Orientale di Napoli e successivamente a La Sapienza
di Roma. Nel 1977 è curatrice dell’edizione postuma de La fine del
mondo, fondamentale opera che de Martino aveva lasciato interrotta e che
resta a tutt’oggi uno dei suoi lavori essenziali.
Internet
Dagli anni 90 in poi, inaugura nuovi campi di studio. È osservatrice
originale e critica della globalizzazione e dei mutamenti culturali che
essa arreca. È studiosa della diffusione del razzismo nell’immaginario
collettivo, delle reti relazionali connesse a internet, dei dibattiti
collegati ai conflitti dei simboli e, in modo particolare, all’impiego
pubblico della croce. Nel suo ultimo imponente libro, Incidenti di
percorso.
Antropologia di una malattia (2016), ha sfidato con forza, lucidità e sarcasmo il viaggio più arduo per un essere umano: il viaggio dentro sé stessi. Nell’intrico della propria psiche e della propria anima; del proprio corpo malato, ma efficiente per serbare sempre nuovi stupori e creazioni. Attualmente lo si può intuire come un lascito spirituale, influenzato da una coerente e critica laicità, di una donna che ha studiato ininterrottamente la religione. Riservata e modesta, la Gallini è sempre stata distante dalla scena mass mediale e dai giochi di potere accademici. L’inestricabile attività, immensa e composita, è una sostanziosa eredità intellettuale che dovremmo accuratamente studiare per comprendere fino in fondo la Nostra e far sì che non venga mai dimenticata.
Rivoluzioni culturali. Due importanti novità nella attuale riedizione di «Morte e pianto rituale», che torna da Einaudi: Marcello Massenzio nega l’appartenenza del saggio a una trilogia meridionalista; e riconduce l’«Atlante figurato» al modello «Mnemosyne» di Aby Warburg
di Fabio Dei, da Alias del 4 aprile 2021
Al culmine di una stagione che aveva fatto conoscere Ernesto de Martino per le sue «spedizioni etnografiche» in Lucania e in Puglia e per il suo pervicace impegno nel dibattito sulla questione meridionale, l’uscita nel 1958 di Morte e pianto rituale Dal lamento funebre antico al pianto di Maria (ora riedito da Einaudi, PBE, a cura di Marcello Massenzio, pp. LXXVIII-374, € 29,00) si prestò a venire letto soprattutto come uno studio sulla tradizione popolare del lamento funebre nel Mezzogiorno d’Italia. E così lo si sarebbe considerato per decenni, con ciò sottovalutando sia l’ampia ricerca storico-religiosa e comparativa sia l’originale impianto teorico-filosofico che lo sostengono. Leitfaden für natürliches Bodybuilding-Training, Ernährung und Nahrungsergänzung androxine incerun herren sets homewear kurzarm v-ausschnitt t-shirt hosen patchwork workout bodybuilding männer anzug sommer casual pyjamas sets – zeit kaufen. A breve distanza di tempo sarebbero apparse anche le altre due monografie legate a quelle ricerche, Sud e magia (1959) e La terra del rimorso (1961), tanto che venne naturale ai commentatori di allora leggere quei volumi come una compatta «trilogia».
Quando Morte e pianto rituale vinse il premio Viareggio per la saggistica, un commento ne descrisse l’autore come «il professore bizzarro che parla con i morti». Non poteva darsi definizione più infelice. L’allusione a una vena irrazionalista fraintende completamente il senso del libro, che è invece una riflessione di amplissimo respiro sulle strategie con cui la cultura umana lotta per dare continuità alla vita, per allontanarsi dalle tombe e trascendere nel valore l’abisso esistenziale spalancato dalla prospettiva della fine: dunque per tenersi lontana dall’abbraccio della morte.
Lucania, terra del pianto Oggi ci è più chiaro quanto de Martino faticasse a far comprendere il senso più profondo del proprio lavoro, il lavoro di un vigoroso umanesimo storicista che esplora i confini della ragione umana, spingendosi verso quelle soglie in cui essa minaccia di perdersi, e – insieme al senso del sé – smarrisce il senso del mondo. Lo scopo di questa esplorazione era riconoscere gli strumenti sociali e culturali che fanno da argine al caos, al dissolvimento dell’ordine del mondo e insieme della «presenza», vale a dire dell’autonomia esistenziale e della capacità di azione «storica» dell’individuo. Ma il suo saggiare gli spazi liminali, il suo esplorare gli inferi si prestava a venire scambiato per fascinazione irrazionalista, e così venne interpretato anche dai principali indirizzi della cultura italiana del tempo.
I crociani gli rimproveravano il rischio di storicizzare le categorie, ovvero di relativizzare quell’unità del soggetto che è invece la base universale e necessaria su cui ogni storia possibile si articola; i marxisti apprezzavano l’impegno meridionalista di de Martino, ma guardavano con un certo sospetto l’eccessiva attenzione alla dimensione magica e arcaica del mondo contadino.
Certo, Morte e pianto rituale era anche un’etnografia della cultura subalterna del Mezzogiorno. L’ampio capitolo sul lamento funebre lucano gioca un ruolo cruciale nel libro, e certamente la documentazione etnografica delle forme del lutto fra i contadini lucani e pugliesi, soprattutto del pianto ritualizzato delle prefiche, era stato il punto di partenza del percorso di de Martino.
Oltre il verbo La sua frequentazione dell’etnografia gli consentiva di rendersi conto di aspetti delle pratiche luttuose che non sarebbero potuti emergere dalla sola documentazione storico-religiosa, sia scritta che iconografica: ad esempio il tipo di partecipazione emotiva, le stereotipie dei movimenti del corpo e delle modulazioni vocali delle lamentatrici, e al tempo stesso la loro capacità di adattare i moduli tradizionali alle situazioni specifiche, individualizzandoli e riportandone al loro interno la storicità.
Erano questi i materiali dai quali de Martino traeva la parte più ricca e innovativa della sua analisi, e che gli permisero di comprendere come la logica della ritualità funebre poggi su un meccanismo mimetico: le pratiche rituali imitano la caduta nella disperazione e nel furore più totali, fingono di seguire il defunto e di non poterlo «lasciar andare». E tuttavia questa caduta o discesa agli inferi è controllata: la mediazione dei dispositivi mitico-rituali consente di tornare in superficie, di riguadagnare l’ordine della vita collettiva e la razionalità dell’agire cosciente.
Restituendo alla storia i soggetti che ne sono colpiti e minacciati, questo dispositivo di destorificazione dell’evento luttuoso viene al tempo stesso proiettato da de Martino sui documenti folklorici dell’area mediterranea e quindi su quelli riguardanti le civiltà antiche e classiche. Ne emerge – ed è il corpo principale dell’opera – uno scenario culturale di grande ampiezza, fecondato teoricamente dall’intuizione esistenzialista della crisi e del riscatto della presenza minacciata dal vuoto della morte.
Infine, il libro approda all’incontro di questo scenario con la visione cristiana del tempo e della morte – esemplificata dalle parole di Agostino di fronte alla perdita della madre, parole dominate dalla convinzione che solo di una morte apparente si tratta e le lacrime vanno dunque trattenute. La prospettiva cristiana (la «nuova epoca» della morte rispetto a quella «antica») avrebbe alla fin fine vinto, ma al prezzo di riassorbire nelle proprie immagini e nei propri riti le tecniche pagane di controllo e reintegrazione del patimento – come nella figura «di compromesso» della Mater dolorosa, una figura fortemente sincretica.
Originariamente uscito da Einaudi, Morte e pianto rituale torna alla casa madre – dopo decenni di permanenza presso Bollati Boringhieri – in una nuova edizione curata da Marcello Massenzio, la cui ampia e densa introduzione propone almeno due importanti elementi di novità. Il primo è l’accento posto sull’apparato iconografico che accompagna il libro, sotto il titolo di «Atlante figurato del pianto».
De Martino accosta comparativamente immagini tratte dal folklore mediterraneo, dalle culture antiche e da quelle cristiane in quelle che non sono soltanto mere illustrazioni, ma materiali in cui emerge una descrizione e una comprensione dei riti, nella loro materialità corporea e gestuale, che sfuggirebbe alla pura verbalizzazione. Anche sulla scorta di suggestioni che gli provengono da Riccardo Di Donato, Georges Didi-Huberman e Carlo Ginzburg, Marcello Massenzio discute l’influenza del modello Mnemosyne di Aby Warburg sull’Atlante di de Martino. Quanto al secondo elemento della rottura interpretativa proposta da Massenzio, esso risiede appunto nel negare che Morte e pianto rituale sia il primo capitolo di una trilogia meridionalista. Se così lo si interpretò era grazie al contesto di quella stagione culturale, che di de Martino amava valorizzare il ruolo politico, da ricercatore di inchiesta e di denuncia, accostandolo magari a Carlo Levi o a Rocco Scotellaro, senza tuttavia comprendere il nucleo più profondo e unificante del suo pensiero, né il nesso inestricabile che egli aveva costruito fra la dimensione etnografica, quella storico-religiosa e quella filosofica.
Il mondo del possibile Ritrovare i fili di questo intreccio, troppo spesso separati nella realtà parcellizzata e settoriale della ricerca contemporanea, è forse uno degli scopi che meglio può motivare oggi la rilettura di queste pagine. Insieme al fatto che, come tutti i grandi classici, Morte e pianto racconta qualcosa che ci riguarda nella sua intramontabile attualità: non tanto l’abisso della morte o la dissoluzione della presenza in sé, quanto la lotta infaticabile che la cultura conduce contro di esse per permetterci di rinnovare la nostra appartenenza a un mondo possibile.
La riedizione del capolavoro demartiniano consente di riscoprire in tutta la sua complessità, al di là dell’interpretazione convenzionale che enfatizzava la portata della componente meridionalista, un impianto teorico eccezionale, frutto del concorso di molteplici saperi. 2021
Piccola Biblioteca Einaudi Ns pp. LXXVIII – 374 € 29,00 ISBN 9788806247331 A cura di Marcello Massenzio
Il libro
In questo libro Ernesto De Martino risale alle radici dell’esigenza umana di rifiutare la morte nella sua scandalosa gratuità e, di riflesso, procurare al defunto una «seconda morte» culturalmente definita, mediante il ricorso a determinate pratiche rituali. Tra queste, l’istituto del lamento funebre, rivolto ai vivi non meno che ai defunti, poiché la piena del dolore rischia di compromettere l’integrità della presenza dei sopravvissuti. Qui sta la funzione piú profonda del pianto rituale, che non cancella la crisi del cordoglio ma l’accoglie in sé, trasformandola in disciplina culturale capace di mantenere il pathos al riparo dall’irruzione della follia. In ciò risiede la sua umanissima sapienza, il cui valore trascende i limiti storici di diffusione del fenomeno, e al quale s’abbandona persino la Madonna al cospetto della morte del Figlio, nonostante l’accesa polemica cristiana contro il costume pagano. Dall’analisi del fenomeno, ridotto allo stadio di «relitto folklorico», scaturisce il bisogno di estendere l’analisi alle antiche civiltà agrarie del Mediterraneo, al cui interno l’istituto del lamento funebre visse la stagione del suo massimo splendore, fino al progressivo declino, causato dallo scontro con il cristianesimo trionfante. De Martino si interroga infine sul problema della risoluzione laica della crisi del cordoglio, e l’Atlante figurato del pianto riflette mediante un sapiente uso delle immagini l’affascinante itinerario dell’Autore, che sollecita un confronto con l’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg.
in occasione della nuova edizione di E. De Martino, La fine del mondo, Einaudi 2019
Apocalisse Tempo Cultura Discussione su De Martino
introduzione Michele Ciliberto
relazioni Carlo A. Bonadies Antonio Fanelli Vincenzo Ferrone
interverrà il curatore Marcello Massenzio
31 gennaio 2020 15:30
PALAZZO STROZZI ISTITUTO NAZIONALE DI STUDI SUL RINASCIMENTO FIRENZE Sala Conferenze III piano
We use cookies on our website to give you the most relevant experience by remembering your preferences and repeat visits. By clicking “Accept”, you consent to the use of ALL the cookies.
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. These cookies ensure basic functionalities and security features of the website, anonymously.
Cookie
Durata
Descrizione
cookielawinfo-checbox-analytics
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Analytics".
cookielawinfo-checbox-functional
11 months
The cookie is set by GDPR cookie consent to record the user consent for the cookies in the category "Functional".
cookielawinfo-checbox-others
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Other.
cookielawinfo-checkbox-necessary
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookies is used to store the user consent for the cookies in the category "Necessary".
cookielawinfo-checkbox-performance
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Performance".
viewed_cookie_policy
11 months
The cookie is set by the GDPR Cookie Consent plugin and is used to store whether or not user has consented to the use of cookies. It does not store any personal data.
Functional cookies help to perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collect feedbacks, and other third-party features.
Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.
Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.
Advertisement cookies are used to provide visitors with relevant ads and marketing campaigns. These cookies track visitors across websites and collect information to provide customized ads.