Giornate demartiniane

II sessione

GIORNATE DEMARTINIANE, 14 – 16 dicembre 2015 >>>
Per Ernesto De Martino a 50 anni dalla morte con tracce di Levi e Scotellaro

Negli anni Settanta del secolo scorso si radicò, nel tessuto culturale salernitano, un humus antropologico-culturale molto forte dovuto soprattutto alla presenza di Annabella Rossi, la studiosa allieva di Ernesto de Martino, allora titolare della Cattedra di Antropologia culturale nella nostra Università. Una prospettiva antropologica “demartiniana” che affascinò giovani, intellettuali, operatori della cultura, artisti, associazioni e gruppi radicati sul territorio.
La seconda sessione dei Colloqui di Salerno 2015 è così dedicata alla figura del grande antropologo italiano Ernesto de Martino, del quale si sta celebrando, il cinquantesimo anniversario della morte. Tuttavia, con de Martino, i Colloqui i Salerno 2015 intendono ricordare altre due figure di intellettuali e meridionalisti del secolo scorso, studiosi legati all’opera e alla vita dell’etnologo napoletano: Carlo Levi – scomparso proprio quarant’anni fa, nel 1975, autore del celeberrimo volume Cristo si è fermato a Eboli, la cui prima edizione compie oggi settant’anni – e Rocco Scotellaro – lo scrittore, poeta, politico scomparso prematuramente a soli trent’anni, amico di Levi e di de Martino il cui romanzo autobiografico, L’uva puttanella, fu pubblicato postumo, sessant’anni fa, nel 1955.

I. De Martino, lo spirito laico
Ernesto de Martino ha raccontato al mondo la cultura magico-religiosa del Sud, lo splendore e la miseria di un Mezzogiorno che «va al di là della geografia per diventare una regione dell’anima» (Niola). In pieno miracolo economico, il grande antropologo, con Sud e Magia, Morte e Pianto rituale e con La terra del rimorso, costringeva il nostro paese a prendere atto che l’Italia profonda non corrispondeva all’immagine che il paese aveva di sé. Una grande lezione di metodo sulla quale è doveroso continuare a riflettere.
Del grande capostipite dell’antropologia novecentesca i nostri Colloqui vogliono indagare, inoltre, gli aspetti della personalità più enigmatici e suggestivi, con una rilettura del nucleo profondo del pensare critico demartiniano anche sulla base di nuovi documenti e studi relativi alla sua formazione giovanile.

II. Levi, il padre

Mentre città e istituzioni varie pongono giustamente attenzione soprattutto al quarantennale della sua morte, ci piace qui sottolineare anche i settanta anni (1945, Einaudi) dalla prima edizione del Cristo e gli ottanta anni dalla data dell’esilio dello scrittore-pittore in Basilicata. Per l’attività antifascista nelle file di Giustizia e Libertà, Levi, infatti, nel 1935 è confinato, prima a Grassano, poi a Gagliano (in realtà, Aliano). Anni dopo, l’autore narrerà in prima persona le sue vicende e descriverà usi e costumi di una «gente mite, rassegnata e passiva, impenetrabile alle ragioni della politica».
Levi scrive Cristo s’è fermato ad Eboli tra il Natale del’43 e luglio del’44: l’opera – per metà diario e per metà romanzo – propone una prosa emotivamente partecipata, con digressioni storiche e antropologiche su temi come la civiltà contadina, il brigantaggio, i riti magici delle plebi meridionali. Un testo esemplare, tra arte e documento, prosa di memoria e reportage politico-sociale, destinato a influenzare non solo la letteratura ma anche le arti figurative ed il cinema neorealisti.

III. Scotellaro, il figlio

1.La storia della militanza politica di Scotellaro, ancora in larga parte da scrivere, coincide con quella culturale del Paese nell’immediato ultimo dopoguerra. Il ritrovamento (a Matera e ad Ivrea) di alcune lettere di questo grande “testimone e simbolo di una generazione” (L. Sacco), – parte a Matera, parte ad Ivrea -, scritte tra il 1952 e il 1953, quasi tutte da Portici, ha messo in moto la ricerca di ulteriori fonti, documenti e immagini, che si legano alla sua fulminea parabola politica. Animato da una forte carica morale e ideale, profusa nella produzione letteraria e nell’impegno politico, Scotellaro (Tricarico 1923-Portici 1953) è assurto a simbolo delle lotte per il riscatto del meridione. Ha anche lasciato liriche che – a giudizio di Montale – rimangono «le più significative del nostro tempo». Alla poesia – É fatto giorno (1954) – si affianca la prosa con Contadini del Sud (Laterza, 1954), e l’autobiografico L’uva puttanella (ivi, 1955). Gli scritti giovanili si trovano in Uno si distrae al bivio (pref. di Carlo Levi, 1974) e in Giovani soli (pref. di Leonardo Sacco, 1984).

2. Amelia Rosselli parla di Rocco (intervista a Sandra Petrignani, 1978): […]«Ero seduta nelle ultime file della sala [22 aprile 1950, Venezia, primo convegno partigiano: La Resistenza e la cultura in Italia], e a un certo momento si avvicinò un giovane simpaticissimo. Quando seppe che ero la figlia di Carlo Rosselli, sorpreso e interessato, si mostrò sempre più attento a me. Diventammo amici».
Ed ecco la versione di Rocco: «Quando capii il suo nome (parlava con accento inglese) non so se mi rafforzò il pensiero di essere amico e di innamorarmi di lei o piuttosto di venerarla come la figlia di un grande martire, che parlava più di tutti in quel convegno. Forse mi innamorava e la veneravo insieme. Sui poggioli delle sedie di ferro i nostri gomiti si toccavano. Pensavo di vederla, alta come me, quando ci fossimo alzati. E io chi ero? Lo dissi. Mi sapeva. Lesse le mie poesie. Accennò dei giudizi non completamente lusinghieri: ciò che permise uno scambio di sguardi che mi fecero più ardito. Uscimmo insieme. Mangiava al mio stesso ristorante ed era una coincidenza calzante. La presentai a tanti, me la sentivo già mia». E, più avanti, «ella luccica in volto come ieri. Sono due giorni che il suo splendore mi turba. Mi sento schifoso a confronto della sua bellezza». Oppure: «Metto a paragone lei con la solita ragazza illibata dagli occhioni melanconici e dalla carne che aspetta di essere toccata. È sempre la mia amica che si salva e vince, va in alto, guarda lontano, mi annienta, io sono a terra». Amelia aveva presto sublimato quel rapporto in legame familiare, «fratello e sorella» diceva, o piuttosto surrogato paterno e, morto Rocco, precipiterà di nuovo nella depressione, ma raccoglierà il testimone della poesia.

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