Mort et pleurs rituels

De la lamentation funèbre antique à la plainte de Marie

Ernesto De Martino étudie le rapport entre la mort humaine, en tant qu’événement naturel, et le rite de la plainte funèbre lui conférant un sens culturel. Une traduction inédite sur la crise du deuil dans le monde antique, qui s’achève par un audacieux Atlas illustré des pleurs !

En coédition avec l’École française de Rome.
L’existence humaine obéit à un équilibre fragile, toujours menacé par une crise sans horizon : la mort d’une personne aimée. La perte irréversible ouvre la voie à l’éloignement du monde, au délire du déni, à une fureur destructrice. D’où vient le besoin de refuser la mort dans sa scandaleuse gratuité, d’offrir le repos au défunt grâce à l’élaboration rituelle du deuil ? C’est tout l’enjeu de ce grand classique de l’anthropologie, enfin traduit en français. Ernesto De Martino montre que la lamentation funèbre, adressée aux vivants non moins qu’aux morts, surgit pour transformer la crise du deuil en une discipline culturelle capable de préserver le pathos de l’irruption de la folie.
Il retrace l’histoire de cette lamentation de l’antiquité à l’époque chrétienne en partant de ses enquêtes ethnographiques dans le sud de l’Italie. Observant les pleureuses et recueillant les chants funèbres, il revient aux anciennes civilisations agraires de Méditerranée au sein desquelles la complainte funéraire a connu ses manifestations les plus grandioses, avant son déclin progressif, provoqué par le christianisme triomphant. De Martino retrouve chez les paysannes de Lucanie des gestes analogues à ceux des Égyptiennes pleurant leur pharaon défunt ou à ceux des Grecques anciennes réunies autour des héros morts au combat, mettant en lumière la survivance de l’institution des lamentations dans la longue durée. Comme en témoigne, en écho à Aby Warburg, l’Atlas des pleurs rituels qui complète le livre, c’est avec toute la tradition d’histoire, d’archéologie et d’histoire de l’art du XXe siècle que dialogue cette œuvre anthropologique puissante et originale.

Textes traduits par Alfonsina Bellio & Jérôme Nicolas.
Traduction supervisée par Jérôme Nicolas.

Sommaire
Introduction. La sagesse cachée des pleurs rituels. Par Marcello Massenzio

Préface
Introduction
Chapitre 1. Crise de la présence et crise du deuil
Chapitre 2. La plainte funèbre de la Lucanie
Chapitre 3. La plainte funèbre folklorique euroméditerranéenne
Chapitre 4. Les funérailles de Lazzaro Boia
Chapitre 5. La lamentation funèbre antique
Chapitre 6. La moisson de la douleur
Chapitre 7. Grandeur et décadence des pleurs antiques
Épilogue
Annexes
Atlas illustré des pleurs
Pistes de lecture
Index des noms cités

http://editions.ehess.fr/fr/ouvrages/ouvrage/mort-et-pleurs-rituels/

Le Monde magique

L’œuvre d’Ernesto De Martino, un des intellectuels italiens les plus importants du XXe siècle, est redécouverte aujourd’hui. Cette nouvelle édition du Monde magique permettra de mieux saisir la place qui revient à l’auteur dans la culture européenne.

Initiation chamanique, rites propitiatoires, maléfices, savoirs divinatoires traditionnels et modernes : De Martino rassemble d’innombrables pratiques confondues sous le terme de magie à partir d’une documentation ethnologique de premier plan. L’essai met à l’épreuve différents modèles, explicatifs ou herméneutiques, pour faire de ces usages autant d’institutions culturelles efficaces, en levant l’ambivalence de la pensée occidentale à leur égard. Contre toutes les formes de scientisme, De Martino en appelle à une conception élargie de la raison historique pour reconnaître dans ces ressources symboliques l’apprentissage de cette présence à soi et au monde qui nous paraît le propre de la condition humaine.

Lors de sa première parution en 1948, ce livre lança en Italie les débats pour une renaissance culturelle, au lendemain de la Seconde Guerre mondiale. Discuté par des intellectuels aussi opposés que Benedetto Croce et Mircea Eliade, puis « livre de l’année zéro » pour le grand historien contemporain Carlo Ginzburg, Le Monde magique pose des questions, toujours débattues, au carrefour de toutes les sciences humaines.

https://www.editions-bartillat.fr/fiche-livre.php?Clef=542

Il mondo magico

Prolegomeni a una storia del magismo

Profondamente radicato nel contesto storico in cui venne concepito, Il mondo magico va letto oggi alla luce dell’immane tragedia del secondo conflitto mondiale. De Martino si interroga sulle cause profonde della grande crisi dell’Occidente, di cui individua con sensibilità antropologica i germi nell’abbandono della tradizione storico-culturale di appartenenza: da qui l’urgenza di promuoverne una rinnovata consapevolezza critica. E proprio in relazione al conseguimento di tale obiettivo, che non potrebbe non riguardare anche il nostro presente, il confronto con il «culturalmente alieno» manifesta tutta la sua pregnanza.

L’orizzonte formale del patire

L’orizzonte formale del patire. La parola e l'immagine in "Morte e pianto rituale" di Ernesto de Martino

L’orizzonte formale del patire. La parola e l’immagine in “Morte e pianto rituale” di Ernesto de Martino

Seminari IISF

11-14 ottobre 2021 | ore 15.30

L’incontro si terrà in presenza e sulla piattaforma Zoom. Per iscrizioni alla piattaforma Zoom inviare richiesta di adesione all’indirizzo newsletter@iisf.it.
Sarà inoltre possibile seguire il seminario in streaming sul nostro canale YouTube


Laboratorio
L’orizzonte formale del patire. La parola e l’immagine in Morte e pianto ritualedi Ernesto de Martino
In collaborazione con
Associazione Internazionale Ernesto de Martino
A cura di Marcello Massenzio, Massimiliano Biscuso e Wolfgang Kaltenbacher

Lunedì 11
Rito e musica. Il ruolo dell’indagine etnografica in Lucania nell’economia dell’opera
Marcello Massenzio (Associazione Internazionale Ernesto de Martino)
Giovanni Pizza (Università di Perugia)

Martedì 12
Dalla parola all’ immagine. L’Atlante figurato del pianto
Marcello Massenzio (Associazione Internazionale Ernesto de Martino)
Attilio Scarpellini (saggista)

Mercoledì 13
La risoluzione culturale della morte nel mondo antico e nel cristianesimo
Domenico Conte (Università di Napoli Federico II)
Valerio Petrarca (Università di Napoli Federico II)

Giovedì 14
Crisi della presenza, crisi del cordoglio e destorificazione mitico-rituale
Massimiliano Biscuso (IISF)
Marcello Musté (Sapienza Università di Roma)

Clara Gallini, chiaroscuri

Antropologia. Ricordo della erede degli insegnamenti di Ernesto De Martino

Domenico Sabino

Alias del 02.10.2021

I personaggi che qui si incontrano – medici e sacerdoti, malati e miracolati, magnetizzatori e sonnambule, spiritisti e medium, isteriche e fantasmi… – e le loro relazioni, disegnano un Ottocento che prima di Clara Gallini non era stato indagato da una prospettiva antropologica.

Una prospettiva che analizzando la dimensione culturale del magnetismo e dello spiritismo, come delle guarigioni miracolose, mette in luce, tra l’altro, il dinamismo culturale presente nella società di classe e pone interrogativi ancora attuali sulla crisi del modello cartesiano di ragione.» È un breve frammento, tratto dalla prefazione di Adelina Talamonti del saggio Chiaroscuri. Storie di fantasmi, miracoli e gran dottori (Kurumuny Edizioni, 2021), che celebra i novant’anni dalla nascita dell’antropologa Clara Gallini (Crema, 19 giugno 1931 – Roma, 21 gennaio 2017).

Saggi scelti
Il volume è una raccolta postuma di saggi scelti e organizzati completamente da lei, figura cardine nel panorama degli studi antropologici in Italia e non solo, considerata tra le principali interpreti e custodi del pensiero di Ernesto de Martino (1908/1965). Chiaroscuri, che si fregia dell’introduzione di Clara Gallini ed è arricchito nell’Appendice dai testi di Ernesto de Martino e dello psicanalista Emilio Servadio (1904/1995), ci porta in tutta Europa attraverso le storie di sonnambule e magnetisti, spiritisti e fantasmi, miracolati e medici.

In tal voyage, compiuto con rigore e metodo scientifico, la Gallini naviga da nord a sud facendo tappa in luoghi-simbolo di misteri studiati dall’occultismo come, ad esempio, le case infestate della Torino di inizio Novecento e quelle di fine Ottocento a Napoli, dove la famosa medium Eusapia Paladino (1854/1918) attira sia pellegrini che scienziati, quale il noto antropologo Cesare Lombroso (1835/1909).

Svariati capitoli, poi, sono dedicati a Lourdes, luogo di miracoli e medicalizzazione del sacro. Ella rileva che «nel loro complesso i nostri episodi smentiscono quella immagine, rigida ed esclusiva, di un Mezzogiorno che per tradizione concentrerebbe nei suoi territori ogni «magia»: al contrario, la troveremo anche altrove, nelle moderne città d’Europa, dove anche sarebbe stata presa in seria considerazione «scientifica», oltre che «religiosa», da vari medici e prelati. Le storie che raccolgo qui sono ristampate da vecchi articoli, di venti, trent’anni fa, ma non mi vergogno di dire che la loro problematica è sempre più attuale, in tempi come questi, che danno sempre più spazio all’avanzata dell’«irrazionale», non solo nei diversi culti religiosi.

L’occulto
Di recente scrittura, e inedito, è invece l’ultimo capitolo, che cerca di interrogarsi su cosa sia ciò che definiamo «altro» dalla ragione e che ormai tutti chiamiamo col nome «occulto». Più in generale, potremmo ritrovarvi l’attualità di quelle domande su che cosa mai sia quel lato oscuro degli uomini e delle cose, che ancor oggi continua a intrigarci».

Tra gli studiosi che rifiutano ogni semplice classificazione e incasellamento e modellano i confini con la singolarità della loro intelligenza, c’è indubbiamente anche la Gallini. Come antropologa si è addentrata nei più compositi ambiti: dal folklore sardo all’Ottocento italiano, dal razzismo alla rete, fino al ritorno del simbolismo della croce. Nell’intensa vita di donna e raffinata studiosa, che ha viaggiato molto attraversando mondi e tempi differenti per trarre testimonianze ed esaminare atteggiamenti di popoli e civiltà, ha difatti costantemente propeso per lo studio dei labirinti. Laureatasi nel 1954 alla Statale di Milano in Lettere, frequenta poi a Roma la Scuola di perfezionamento in Storia delle Religioni.

Qui studia con figure del calibro di Angelo Brelich (1913/1977) e Raffaele Pettazzoni (1883/1959). Tuttavia, l’incontro intellettuale, che le cambierà la vita, è quello con Ernesto de Martino alla fine degli anni 50, conosciuto durante il perfezionamento a Roma. Diviene assistente volontaria seguendolo in Sardegna e, poi, alla sua morte, titolare della cattedra di Storia delle Religioni a Cagliari fino al 1978. Anno che bolla il suo orientamento scientifico, storicistico-marxista, di cui è corresponsabile l’insularità arcaizzante di quella «Sardegna come un’infanzia», per dirla con Elio Vittorini (1908/1966), dove Cagliari raffigura in quegli anni l’incrocio o la capitale dell’antropologia, con i nomi di Alberto Mario Cirese (1921/2011), Giulio Angioni (1939/2017) e Pietro Clemente. Gallini svolge un’acuta indagine sul campo, fornendo ragguardevoli monografie sul folklore sardo.

Dalle pagine demartiniane del Mondo magico assentirà «che lì dentro c’era qualcosa di forte, dirompente, un pensiero vivo e attivo, che coniugava la nostra vita con quella degli altri». Tra le opere si citano: I rituali dell’argia (1967), Feste lunghe di Sardegna (1971), Dono e malocchio (1973), La sonnambula meravigliosa (1983), Il miracolo e la sua prova. Un etnologo a Lourdes (1988), Giochi pericolosi (2002), Cyberspiders (2004), Il ritorno delle croci (2009) fino a Incidenti di percorso. Antropologia di una malattia (2016), una meditazione autobiografica terminale su sé stessa.

Nel 1978 lascia la Sardegna per insegnare Antropologia Culturale, prima all’Istituto Orientale di Napoli e successivamente a La Sapienza di Roma. Nel 1977 è curatrice dell’edizione postuma de La fine del mondo, fondamentale opera che de Martino aveva lasciato interrotta e che resta a tutt’oggi uno dei suoi lavori essenziali.

Internet
Dagli anni 90 in poi, inaugura nuovi campi di studio. È osservatrice originale e critica della globalizzazione e dei mutamenti culturali che essa arreca. È studiosa della diffusione del razzismo nell’immaginario collettivo, delle reti relazionali connesse a internet, dei dibattiti collegati ai conflitti dei simboli e, in modo particolare, all’impiego pubblico della croce. Nel suo ultimo imponente libro, Incidenti di percorso.

Antropologia di una malattia (2016), ha sfidato con forza, lucidità e sarcasmo il viaggio più arduo per un essere umano: il viaggio dentro sé stessi. Nell’intrico della propria psiche e della propria anima; del proprio corpo malato, ma efficiente per serbare sempre nuovi stupori e creazioni. Attualmente lo si può intuire come un lascito spirituale, influenzato da una coerente e critica laicità, di una donna che ha studiato ininterrottamente la religione. Riservata e modesta, la Gallini è sempre stata distante dalla scena mass mediale e dai giochi di potere accademici. L’inestricabile attività, immensa e composita, è una sostanziosa eredità intellettuale che dovremmo accuratamente studiare per comprendere fino in fondo la Nostra e far sì che non venga mai dimenticata.

nostos n° 5

con qualche ritardo rispetto al consueto calendario annuale, esce il numero di nostos del 2020.

Ecco l’indice:

http://rivista.ernestodemartino.it/index.php/nostos/issue/view/6/showToc

Buona lettura

Morte e pianto rituale. Un classico dell’antropologia italiana da riscoprire

Giornata di studi

Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF)

Morte e pianto rituale.
Un classico dell’antropologia italiana da riscoprire

Venerdì 21 maggio 2021

ore 16.00


Presentazione della nuova edizione del volume di Ernesto de Martino,

Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, a cura di Marcello Massenzio, Einaudi 2021.

Introduce Massimiliano Biscuso (IISF)

Intervengono
Carlo Ginzburg (UCLA)
Carlo Alberto Bonadies (Casa Editrice Einaudi)
Marcello Massenzio (Associazione Internazionale Ernesto de Martino)
Riccardo Di Donato (Università di Pisa)

Il seminario sarà accessibile in streaming sul canale Youtube (https://www.youtube.com/user/AccademiaIISF).

Ernesto de Martino, nessun irrazionalismo nell’abbraccio con la morte

Rivoluzioni culturali. Due importanti novità nella attuale riedizione di «Morte e pianto rituale», che torna da Einaudi: Marcello Massenzio nega l’appartenenza del saggio a una trilogia meridionalista; e riconduce l’«Atlante figurato» al modello «Mnemosyne» di Aby Warburg

di Fabio Dei, da Alias del 4 aprile 2021

Al culmine di una stagione che aveva fatto conoscere Ernesto de Martino per le sue «spedizioni etnografiche» in Lucania e in Puglia e per il suo pervicace impegno nel dibattito sulla questione meridionale, l’uscita nel 1958 di Morte e pianto rituale Dal lamento funebre antico al pianto di Maria (ora riedito da Einaudi, PBE, a cura di Marcello Massenzio, pp. LXXVIII-374, € 29,00) si prestò a venire letto soprattutto come uno studio sulla tradizione popolare del lamento funebre nel Mezzogiorno d’Italia. E così lo si sarebbe considerato per decenni, con ciò sottovalutando sia l’ampia ricerca storico-religiosa e comparativa sia l’originale impianto teorico-filosofico che lo sostengono. A breve distanza di tempo sarebbero apparse anche le altre due monografie legate a quelle ricerche, Sud e magia (1959) e La terra del rimorso (1961), tanto che venne naturale ai commentatori di allora leggere quei volumi come una compatta «trilogia».

Quando Morte e pianto rituale vinse il premio Viareggio per la saggistica, un commento ne descrisse l’autore come «il professore bizzarro che parla con i morti». Non poteva darsi definizione più infelice. L’allusione a una vena irrazionalista fraintende completamente il senso del libro, che è invece una riflessione di amplissimo respiro sulle strategie con cui la cultura umana lotta per dare continuità alla vita, per allontanarsi dalle tombe e trascendere nel valore l’abisso esistenziale spalancato dalla prospettiva della fine: dunque per tenersi lontana dall’abbraccio della morte.

Lucania, terra del pianto
Oggi ci è più chiaro quanto de Martino faticasse a far comprendere il senso più profondo del proprio lavoro, il lavoro di un vigoroso umanesimo storicista che esplora i confini della ragione umana, spingendosi verso quelle soglie in cui essa minaccia di perdersi, e – insieme al senso del sé – smarrisce il senso del mondo.
Lo scopo di questa esplorazione era riconoscere gli strumenti sociali e culturali che fanno da argine al caos, al dissolvimento dell’ordine del mondo e insieme della «presenza», vale a dire dell’autonomia esistenziale e della capacità di azione «storica» dell’individuo. Ma il suo saggiare gli spazi liminali, il suo esplorare gli inferi si prestava a venire scambiato per fascinazione irrazionalista, e così venne interpretato anche dai principali indirizzi della cultura italiana del tempo.

I crociani gli rimproveravano il rischio di storicizzare le categorie, ovvero di relativizzare quell’unità del soggetto che è invece la base universale e necessaria su cui ogni storia possibile si articola; i marxisti apprezzavano l’impegno meridionalista di de Martino, ma guardavano con un certo sospetto l’eccessiva attenzione alla dimensione magica e arcaica del mondo contadino.

Certo, Morte e pianto rituale era anche un’etnografia della cultura subalterna del Mezzogiorno. L’ampio capitolo sul lamento funebre lucano gioca un ruolo cruciale nel libro, e certamente la documentazione etnografica delle forme del lutto fra i contadini lucani e pugliesi, soprattutto del pianto ritualizzato delle prefiche, era stato il punto di partenza del percorso di de Martino.

Oltre il verbo
La sua frequentazione dell’etnografia gli consentiva di rendersi conto di aspetti delle pratiche luttuose che non sarebbero potuti emergere dalla sola documentazione storico-religiosa, sia scritta che iconografica: ad esempio il tipo di partecipazione emotiva, le stereotipie dei movimenti del corpo e delle modulazioni vocali delle lamentatrici, e al tempo stesso la loro capacità di adattare i moduli tradizionali alle situazioni specifiche, individualizzandoli e riportandone al loro interno la storicità.

Erano questi i materiali dai quali de Martino traeva la parte più ricca e innovativa della sua analisi, e che gli permisero di comprendere come la logica della ritualità funebre poggi su un meccanismo mimetico: le pratiche rituali imitano la caduta nella disperazione e nel furore più totali, fingono di seguire il defunto e di non poterlo «lasciar andare». E tuttavia questa caduta o discesa agli inferi è controllata: la mediazione dei dispositivi mitico-rituali consente di tornare in superficie, di riguadagnare l’ordine della vita collettiva e la razionalità dell’agire cosciente.

Restituendo alla storia i soggetti che ne sono colpiti e minacciati, questo dispositivo di destorificazione dell’evento luttuoso viene al tempo stesso proiettato da de Martino sui documenti folklorici dell’area mediterranea e quindi su quelli riguardanti le civiltà antiche e classiche. Ne emerge – ed è il corpo principale dell’opera – uno scenario culturale di grande ampiezza, fecondato teoricamente dall’intuizione esistenzialista della crisi e del riscatto della presenza minacciata dal vuoto della morte.

Infine, il libro approda all’incontro di questo scenario con la visione cristiana del tempo e della morte – esemplificata dalle parole di Agostino di fronte alla perdita della madre, parole dominate dalla convinzione che solo di una morte apparente si tratta e le lacrime vanno dunque trattenute. La prospettiva cristiana (la «nuova epoca» della morte rispetto a quella «antica») avrebbe alla fin fine vinto, ma al prezzo di riassorbire nelle proprie immagini e nei propri riti le tecniche pagane di controllo e reintegrazione del patimento – come nella figura «di compromesso» della Mater dolorosa, una figura fortemente sincretica.

Originariamente uscito da Einaudi, Morte e pianto rituale torna alla casa madre – dopo decenni di permanenza presso Bollati Boringhieri – in una nuova edizione curata da Marcello Massenzio, la cui ampia e densa introduzione propone almeno due importanti elementi di novità. Il primo è l’accento posto sull’apparato iconografico che accompagna il libro, sotto il titolo di «Atlante figurato del pianto».

De Martino accosta comparativamente immagini tratte dal folklore mediterraneo, dalle culture antiche e da quelle cristiane in quelle che non sono soltanto mere illustrazioni, ma materiali in cui emerge una descrizione e una comprensione dei riti, nella loro materialità corporea e gestuale, che sfuggirebbe alla pura verbalizzazione. Anche sulla scorta di suggestioni che gli provengono da Riccardo Di Donato, Georges Didi-Huberman e Carlo Ginzburg, Marcello Massenzio discute l’influenza del modello Mnemosyne di Aby Warburg sull’Atlante di de Martino. Quanto al secondo elemento della rottura interpretativa proposta da Massenzio, esso risiede appunto nel negare che Morte e pianto rituale sia il primo capitolo di una trilogia meridionalista. Se così lo si interpretò era grazie al contesto di quella stagione culturale, che di de Martino amava valorizzare il ruolo politico, da ricercatore di inchiesta e di denuncia, accostandolo magari a Carlo Levi o a Rocco Scotellaro, senza tuttavia comprendere il nucleo più profondo e unificante del suo pensiero, né il nesso inestricabile che egli aveva costruito fra la dimensione etnografica, quella storico-religiosa e quella filosofica.

Il mondo del possibile
Ritrovare i fili di questo intreccio, troppo spesso separati nella realtà parcellizzata e settoriale della ricerca contemporanea, è forse uno degli scopi che meglio può motivare oggi la rilettura di queste pagine. Insieme al fatto che, come tutti i grandi classici, Morte e pianto racconta qualcosa che ci riguarda nella sua intramontabile attualità: non tanto l’abisso della morte o la dissoluzione della presenza in sé, quanto la lotta infaticabile che la cultura conduce contro di esse per permetterci di rinnovare la nostra appartenenza a un mondo possibile.

https://ilmanifesto.it/ernesto-de-martino-nessun-irrazionalismo-nellabbraccio-con-la-morte/

Morte e pianto rituale

Dal lamento funebre antico al pianto di Maria

La riedizione del capolavoro demartiniano consente di riscoprire in tutta la sua complessità, al di là dell’interpretazione convenzionale che enfatizzava la portata della componente meridionalista, un impianto teorico eccezionale, frutto del concorso di molteplici saperi.

Tributo alla memoria di George R. Saunders

Il 17 settembre scorso è venuto a mancare George Saunders, Professore di Anthropologia presso la Lawrence University (Wisconsin, USA). È stato uno dei soci fondatori dell’Associazione Internazionale E. De Martino e tra i primi a imporre all’attenzione della comunità scientifica extra-europea l’opera di de Martino, posta al centro di saggi che ne illuminano lo spessore teorico e la metodologia della ricerca, alla luce del confronto con orientamente ermeneutici d’impostazione diversa. Oltre che studioso dell’antropologia italiana, fin dagli anni Settanta George Saunders ha
scelto l’Italia come uno dei suoi terreni privilegiati di ricerca nell’ambito dell’antropologia religiosa.
Dallo studio dei movimenti protestanti pentecostali in Toscana è scaturito un libro importante, rimasto allo stadio di manoscritto inedito fino al 2010, quando è stato pubblicato, grazie all’interesse mostrato dai suoi amici e colleghi italiani, e con il contributo dell’Associazione Internazionale E. De Martino: Il linguaggio dello spirito. Il cuore e la mente nel protestantesimo
evangelico
, Pacini Editore (traduzione di Adelina Talamonti).
Nella Postfazione di Vincenzo Padiglione è delineato un pregevole ritratto scientifico e umano di G. Saunders, che con la sua “pedagogia del confronto” – per usare una locuzione di Clara Gallini – ha contribuito ad ampliare profondamente gli orizzonti della ricerca nel settore delle tradizioni antropologiche locali.
I suoi scritti e taccuini di campo sono custoditi presso Smithsonian National Anthropological Archives (https://sova.si.edu/record/NAA.2006-09).